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Danno da perdita parentale

Danno da perdita parentale

danno tanatologico

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Il danno da perdita parentale spetta ai familiari della vittima per lo sconvolgimento dell’esistenza dovuto all’uccisione del loro caro.

Cos’è il danno da perdita parentale?

Il danno da perdita parentale è un danno non patrimoniale “iure proprio” che spetta ai familiari della vittima, per l’uccisione del loro caro.

Si concreta nello sconvolgimento dell’esistenza rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita conseguenti al decesso del congiunto.

Il danno che subiscono i familiari per l’uccisione di una persona è rappresentato dal vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto della persona cara che è venuta meno.

Nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti familiari.

Risarcimento del danno agli eredi a seguito di un fatto illecito

Per il risarcimento del danno da perdita della vita conseguente alle lesioni derivanti da fatto illecito la Cassazione dice che non è possibile risarcire il danno evento, neanche in via eccezionale.

Tale orientamento si rivela non garantista per i familiari  di  chi perde la vita in un incidente stradale mortale ritendendo non dovuta “in re ipsa” la riparazione del danno in capo agli eredi per fatto illecito altrui.

La risarcibilità del danno conseguenza viene richiamata dall’art. 1223 c.c. laddove si parla di “conseguenza immediata e diretta”.

Quando spetta il danno da perdita parentale? 

Quando la vittima muore in un omicidio stradale l’evento mortale coincide con la conseguenza quale la perdita della vita e, dunque, danno evento e danno conseguenza si fondono e coincidono.

La Suprema Corte afferma che che il risarcimento alle vittime della strada, essendo danno conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse e come tale deve essere allegato e provato per essere concesso.

Così anche il  risarcimento per la morte di un figlio in un incidente stradale  deve avvenire in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni altra ulteriore circostanza allegata ( Cass. Civ. n. 1431/2012 ).

Il danno da morte deve essere provato?

Anche quando il danno non patrimoniale  ha determinato la lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato.

Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, non può condividersi la tesi che trattasi di danno “in re ipsa”  ovvero  dovuto sul solo presupposto del vincolo di parentela.

Danno iure proprio e iure hereditario 

Assumiamo che un illecito abbia provocato la morte di un individuo.

La legittimazione ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale direttamente subito per effetto della morte può essere accordata iure proprio ai congiunti del defunto.

Si esclude, invece, che gli eredi possano ottenere iure hereditario il risarcimento del pregiudizio subito dal de cuius in conseguenza del decesso.

La sentenza “Scarano”, in assoluta controtendenza, ha ammesso la risarcibilità iure hereditario del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito.

Ferma restando la risarcibilità iure proprio del danno subito dai congiunti, ovvero del danno tanatologico,  conseguente alla morte, i pregiudizi subiti dalla vittima suscettibili di essere risarciti iure hereditario sono:

  1. il danno catastrofale, o danno conseguente alla sofferenza subita dalla vittima dal momento della lesione a quello della morte (purché la vittima abbia percepito l’imminenza del decesso);
  2. il danno biologico terminale, o danno conseguente al deterioramento della salute della vittima dal momento della lesione a quello della morte (essendo tuttavia necessario che tale intervallo abbia una durata apprezzabile – di qui, l’appellativo di «cronometrico»).

Danno  conseguenza e danno evento

Vi è una evidente e drammatica contraddizione nell’elaborazione della teoria del danno conseguenza rispetto a quella garantista del danno evento.

Se pensiamo che debba esser provato, ma venga, poi, riconosciuto ed attribuito anche al nascituro in assenza di una sofferenza rilevabile al moment dell’illecito, ma presumibilmente verificantesi in seguito (Cass. n. 9700/2011).

Con la sentenza n. 4146/2019 la Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla questione della risarcibilità del danno tanatologico.

Questo è il danno di natura non patrimoniale ex art. 2059 c.c. derivante dalla sofferenza patita dal soggetto prima della morte, a causa di un fatto illecito di un terzo.

Per le Sezioni Unite se la morte è immediata o segue alle lesioni entro brevissimo tempo, non sussiste diritto al risarcimento del danno.

E’ necessaria, secondo la giurisprudenza, la sopravvivenza del soggetto per un lasso di tempo apprezzabile, oppure che, pur intervenendo la morte dopo brevissimo tempo.

La vittima deve rimanere cosciente, in grado di percepire la sofferenza e il patema d’animo derivanti dalla sensazione di morte imminente.

Soltanto in tali ipotesi può darsi corso al risarcimento del danno nei confronti degli eredi iure hereditatis.

In quanto, in tali circostanze, il diritto entra a far parte del patrimonio del defunto prima che intervenga la morte, così da poter essere trasmesso agli eredi unitamente agli altri diritti.

Al contrario, in caso di morte immediata, la lesione si verifica nei confronti del bene “vita”, che è diritto autonomo rispetto al diritto alla salute, il quale è “fruibile solo dal suo titolare e non reintegrabile per equivalente”.

La lesione del bene vita

La lesione del bene vita non rappresenta, quindi, la massima lesione del diritto alla salute, ma la lesione di un diverso diritto.

La cui “irrisarcibilità” deriva dall’assenza, al momento del prodursi delle conseguenze dannose, di un soggetto nel cui patrimonio possano essere acquisiti i relativi diritti.

Secondo tale assunto nessun danno sarebbe risarcibile in re ipsa, quale danno-evento, indipendentemente dal prodursi delle conseguenze dannose.

Indipendentemente dall’importanza dell’interesse leso, persino nel caso in cui si tratti del bene della vita.

Con l’evento morte viene meno anche il titolare del diritto e con lui il suo patrimonio, con conseguente inidoneità dello stesso ad acquisire le conseguenze dannose dell’evento e trasferirle agli eredi.

In  conclusione l’effettiva perimetrazione del concetto di danno tanatologico, passa attraverso la definizione del danno biologico terminale e del danno catastrofico.

Il danno biologico terminale

Con la locuzione danno biologico terminale si fa riferimento al danno alla salute patito dalla vittima di un illecito nel periodo intercorrente tra la lesione e la morte.

Detto pregiudizio si identifica nel danno biologico patito da colui che, sopravvissuto per un considerevole lasso di tempo ad un evento poi rivelatosi mortale, abbia, in tale periodo, sofferto una lesione della propria integrità psico-fisica autonomamente considerabile come danno biologico.

Quindi accertabile con valutazione medico-legale e liquidabile alla stregua dei criteri adottati per la liquidazione del danno biologico vero e proprio.

Il danno catastrofale

Per bilanciare il complesso rilievo attribuito alla durata apprezzabile della sopravvivenza è stata elaborata la figura del danno catastrofale.

Sulla base di essa, si ammette anche la risarcibilità della sofferenza provata dalla vittima, che a seguito della lesione percepisce come imminente la fine della propria vita.

Non rileva la durata dell’agonia, ma la consapevolezza del danneggiato e l’intensità della sua sofferenza.

Resta invece, ingiustificatamente, escluso il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla persona uccisa quando la morte si verifica immediatamente dopo la lesione, o quando l’agonia è breve e inconsapevole (Cass. 22 febbraio 2012, n. 2564).

Il danno catastrofale è il pregiudizio patito da colui che, a seguito di un illecito, sia deceduto dopo un lasso di tempo non idoneo a determinare la risarcibilità del danno biologico terminale.

Esso è un danno morale, che si concreta in una sofferenza psichica di massima intensità, anche se di durata contenuta.

Il giudice potrà riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine.  

Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale.

Il danno tanatologico

Disegnati i confini delle figure contigue del danno catastrofico e del danno biologico terminale è possibile comprendere  anche il danno tanatologico, che si identifica con il danno connesso alla perdita della vita.

La teoria maggioritaria predica la non risarcibilità di tale tipologia di danno.

Il soggetto che perde la vita non è in grado di acquistare un diritto risarcitorio, perché finché è in vita non vi è perdita e quando è morto da una parte non è titolare di alcun diritto e dall’altra non è in grado di acquistarne ( Cass, Civ. Sezione Terza, 23 febbraio 2004, n. 3549).

In tal senso depone, peraltro, anche la circostanza che, allo stato attuale il danno non patrimoniale è considerato danno-conseguenza e non più danno-evento.

L’ art. 2059 c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge.

Nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art. 2043 c.c.

Elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue.

Autonoma risarcibilità del danno da perdita della vita

Le argomentazioni fatte proprie dalla dottrina propensa a riconoscere la autonoma risarcibilità del danno da perdita della vita sono essenzialmente le seguenti:

  • il diritto alla vita, in quanto fondamentale ed imprescindibile diritto dell’uomo.

Necessita di adeguata tutela: un sistema che riconosce rilevanza a lievi lesioni del diritto alla salute e nega tutela alla lesione del diritto alla vita dà luogo ad irragionevoli storture ed iniquità.

  • negare la risarcibilità del danno tanatologico porta a concludere che, dal punto di vista del danneggiante, è più conveniente uccidere che ferire.
  • la tutela risarcitoria è la tutela minima riconosciuta a qualunque diritto e, a maggior ragione, va riconosciuta al supremo ed inviolabile diritto alla vita.

Ciò significa che nel danno da perdita parentale non  si può prescindere dalla necessità di ammettersi la diretta ristorabilità del bene vita in favore di chi l’ha perduta in conseguenza del fatto illecito altrui.

Il danno da perdita del rapporto parentale spetta ai familiari della vittima quando, a causa di un fatto illecito, un proprio congiunto ha trovato la morte, come avviene per esempio nell’omicidio stradale

A chi è dovuto il danno da perdita parentale?

Il danno per la morte di un familiare, spetta al nucleo familiare primario della vittima, dunque ai genitori, ai figli, al coniuge, ai fratelli, ai nonni e ai nipoti.

Ciò in considerazione della privazione del rapporto tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti.

La perdita di una persona cara rappresenta un evento doloroso ed irreparabile che si ripercuote nella quotidianità, traducendosi in un vuoto incolmabile e, in sostanza, in un profondo mutamento e sconvolgimento delle proprie abitudini di vita.

Come viene risarcito il danno da perdita parentale?

Non esiste ristoro economico che possa colmare il vuoto per l’uccisione di un proprio familiare,  il vuoto venutosi  a creare per la privazione del rapporto affettivo con la vittima ed il dolore da sopportare per il resto  della propria vita,

La vita, infatti, è un bene prezioso ed irrinunciabile ed è inconcepibile pensare come la Cassazione, a sostegno delle tesi caldeggiate dalle compagnie di assicurazione, si sia più  volte pronunciata, in elusione al dettato della Corte Costituzionale, giocando sul filo dell’elaborazione della teoria del  danno  evento  – danno  conseguenza.

Sulla base di tale elaborazione dottrinale si è giunti a considerare il danno da perdita parentale non “in re ipsa”,  ovvero non risarcibile automaticamente, ma da dovere provare di volta in volta dimostrando l’entità del vincolo affettivo e fornendo prova della propria sofferenza. 

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Danno biologico

Danno biologico

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In questo articolo spiego come si calcola il danno biologico per il risarcimento del danno dell’invalidità permanente e inabilità al lavoro.

Chi ha riportato macro lesioni in un incidente stradale può contattarmi per richiedere la mia assistenza.

Sono stato eletto da Top Legal migliore avvocato nel diritto delle assicurazioni per il risarcimento di danni gravi e gestisco incarichi per conto del danneggiato in tutta Italia

Cos’è il danno biologico?

Quando si parla di danno biologico si fa riferimento alla compromissione della salute di un essere umano, valutabile in termini medico legali.

Il danno alla salute di una persona può derivare da un fatto illecito, come nel caso di un incidente stradaleerrato intervento chirurgico e altre cause, come un infortunio in ambito assicurativo.

Il danno biologico consiste, pertanto, nella lesione alla integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale del danno.

Affinché possa esserci un danno alla salute devono verificarsi per il danneggiato menomazioni permanenti, o temporanee, dell’integrità psicofisica.

Per l’accertamento del danno biologico, che rientra nella categoria del danno non patrimoniale, il medico legale deve valutare anche gli aspetti personali e dinamico-relazionali.

L’accertamento del danno alla salute non riguarda la capacità di produrre reddito, come disposto dall’art. 5 comma 3 delle L. 5 marzo 2001 n. 57, rientrando tale aspetto nel danno patrimoniale.

Cosa comprende il danno biologico?

Il danno biologico è composto dalla invalidità permanente e dalla inabilità temporanea, che può essere parziale, o assoluta.

A parte bisogna considerate aspetti quali il danno morale, avente piena autonomia, come chiarito con la sentenza n. 32935/2022 della Cassazione ed il danno esistenziale, oggetto di personalizzazione del danno.

L’invalidità permanente è caratterizzata dagli esiti del danno che incidono nella vita dell’infortunato, le cui conseguenze dovrà portarsi appresso per il resto della vita.

Pensiamo alla ridotta funzionalità, o compromissione di un arto, che limita, o impedisce, i movimenti ed incide in termini percentuali sulla salute del soggetto leso, in  tutti i casi in cui vi  sia una responsabilità civile.

L’inabilità temporanea, è destinata ad un periodo limitato, in genere di degenza e riabilitazione, necessario per guarire del tutto, senza che permangano danni permanenti alla salute.  

Pensiamo agli esiti di una slogatura alla caviglia, che richiede riposo e limita la funzionalità per un breve periodo, ma non procura lesioni permanenti.

L’inabilità temporanea assoluta si ha quando il danneggiato non è in grado di attendere alle minime esigenze della sua vita e al lavoro per un determinato periodo, come nel ricovero in ospedale.

L’inabilità temporanea parziale si ha quando il danneggiato ha una funzionalità ridotta, ma non ha del tutto recuperato la piena funzionalità, come nella degenza a casa.

Per comprendere le distinzioni afferenti al danno biologico pensiamo agli effetti sul danneggiato di un politrauma della strada, come nel caso di un incidente in moto, o incidente stradale a pedone.

Cosa è l’invalidità permanente?

L’invalidità permanente (IP) si ha quando le conseguenze dell’infortunio non sono eliminabili con cure, o terapie.

Si ha invalidità permanente quando l’evento lesivo è destinato ad incidere in misura percentuale sulla salute e funzionalità motoria del danneggiato.

L’accertamento delle lesioni fisiche è compito del medico legale ed ha assoluta rilevanza ai fini della quantificazione del risarcimento danni nell’ambito di applicazione del Codice delle Assicurazioni Private.  

La medicina legale attribuisce alla lesione di ogni parte del corpo il punteggio di danno biologico che determina la menomazione della capacità fisica.

La valutazione del danno biologico si fa con le Tabelle a punti di valutazione del danno.

Esistono 2 diversi parametri di valutazione:

  • per le micro lesioni fino a 9 punti di invalidità permanente, come stabilito dagli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni;
  • e per le macro lesioni, oltre 9 punti di invalidità permanente, in mancanza di una Tabella Unica nazionale applicando le Tabelle del Danno di Roma, o Milano.

Il senso è più ampio di quello comune, nella misura in cui una frattura, anche se l’arto tornerà ad essere utilizzato, segnerà per sempre la persona, incidendo in percentuale sulla sua funzionalità

Ciò avviene anche per la malattia professionale, da intendersi come lo stato morboso che può essere posto in rapporto causale con lo svolgimento di una attività lavorativa.

Cos’è l’inabilità temporanea assoluta?

L’inabilità temporanea assoluta (ITA) è un danno di natura transitoria che, non necessariamente, determina una invalidità permanente.

Si ha quando il danneggiato non è in grado di poter attendere alle proprie minime esigenze di vita quotidiana e al lavoro.

Si misura con il computo dei giorni che intercorrono tra l’incidente e il completo ristabilimento del danneggiato, ovvero la sua guarigione.

Per ogni giorno di inabilità assoluta viene riconosciuto un determinato importo a titolo di risarcimento del danno all’infortunato, di differente importo per le micro invalidità e le macro lesioni.

Nel 2024 per ogni giorno di inabilità assoluta viene corrisposto un importo di euro 54,80 per le lesioni di lieve entità e fino ad euro 149,00 per le macro lesioni.

La Tabella Unica delle lesioni di non lieve entità approvata dal Governo nel 2024 e sospesa dal Consiglio di Stato, su mio intervento, aveva equiparato i parametri delle micro lesioni e macro lesioni.

Tale decisione arrecava un pregiudizio per i soggetti che hanno riportato lesioni superiori a 9 punti di danno biologico.

Per tale ragione ho segnalato, come rappresentante di interessi alla Camera dei Deputati, tali incongruità, condivise dal Consiglio di Stato che ne ha sospeso l’esecuzione.

Cos’è l’inabilità temporanea parziale?

La inabilità temporanea parziale (ITP) riduce la mobilità del danneggiato senza incidere necessariamente sul danno biologico.

Si ha nel caso di degenza a casa, o di ritorno al lavoro con tutore ortopedico, o altri strumenti medicali, come stampelle, collare, ingessatura, che limitano la normale mobilità ed operatività.

L’inabilità temporanea parziale al lavoro, da intendersi in senso ampio, pertanto, può essere commisurata in percentuale rispetto a quella assoluta.

A seconda dei progressi clinici dell’infortunato si avrà una inabilità temporanea parziale, per esempio, al 75%, al 50%, o al 25% a seconda della funzionalità e/o mobilità acquisite.

Nel 2024 per ogni giorno di inabilità temporanea parziale al 50% viene corrisposto un importo di euro 27,40 per le lesioni di non lieve entità e fino ad euro 74,50 per le macro lesioni.

Come calcola il danno biologico?

Il calcolo del danno biologico e,  dunque, del danno risarcibile, da intendersi come valutazione dei danni fisici alla persona, prende in considerazione diversi parametri.

In ogni caso non può prescindere da fattori come l’esistenza di invalidità preesistenti, la valutazione di lesioni plurime, le condizioni di vita ed il danno estetico.

Il calcolo del danno biologico è rimesso all’accertamento medico legale e si fa con la Tabella di risarcimento delle lesioni personali.

Attraverso l’indagine medico legale si attribuisce un punteggio all’ invalidità permanente riscontrata che limita la funzionalità del danneggiato.

Il medico legale determina anche i giorni di inabilità temporanea assoluta e parziale, sia per lesioni gravi che di lieve entità. 

Nel diritto assicurativo, in presenza di lesioni gravi è importante avere un avvocato specializzato in risarcimento del danno biologico e un valido medico legale di parte.

Nel 2024 per ogni punto di invalidità permanente è riconosciuto l’importo di euro 939,78 per le lesioni lievi ed euro 1.198,76 per le macro lesioni.

Tali importi si riducono progressivamente con l’aumentare dell’età del danneggiato, in funzione della minore aspettativa di vita.

La Tabella Unica Nazionale approvata dal Governo aveva diminuito gli importi risarcitori per le macro lesioni, adeguandoli a quelli per le lesioni lievi, ma non è  stata approvata, anche grazie al mio intervento istituzionale.

Come risarcire il danno biologico?

Risarcire il danno biologico non può prescindere da due elementi:

  1. la presenza di lesioni permanenti, o temporanee causate da un fatto illecito, o coperto da assicurazione per gli infortuni
  2.  l’accertamento medico legale del danno, con la valutazione delle lesioni subite dal danneggiato

Per quanto concerne i mezzi di prova del danno biologico la normativa richiamata dagli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni richiede l’accertamento medico legale.

L’unica eccezione è prevista nei casi in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile perché, per esempio, deceduta.

L’accertamento medico legale del danno, tuttavia, non deve richiedere necessariamente sempre la presenza fisica del danneggiato per il risarcimento danni fisici in incidente stradale.

A fondamento della valutazione può essere presa tutta la documentazione medica acquisita, ricorrendo a nozioni di comune esperienza e presunzioni legali.

In presenza di lesioni di non lieve entità, come la perdita della vista da un occhio, valutabile in misura non inferiore al 25% di IP, non può non tenersi conto della sofferenza del danneggiato.

Sopra 9 punti di invalidità permanente entra in gioco la personalizzazione del danno, che ricomprende la sofferenza, in termini di danno morale.

Stesso discorso per il danno esistenziale, o danno dinamico relazionale, relativamente alle conseguenze del danno nell’esplicarsi della vita quotidiana dell’infortunato.

Con la personalizzazione del danno, il danno biologico viene aumentato in misura dal 15 per cento fino al 60 per cento per lesioni gravissime.

Tuttavia la discrepanza tra le Tabelle del Danno di Roma e di Milano  comportano variazioni significative per le macro lesioni sopra il 50% di invalidità permanente a danno dell’infortunato.

Avvocato per risarcimento del danno biologico

Dati i tecnicismi di calcolo del danno biologico, un Avvocato specializzato in risarcimento del danno è fondamentale per chi riporta lesioni gravi o gravissime in un incidente stradale.

L’Avvocato Gianluca Sposato è Presidente dell’Associazione Infortunati Stradali, rappresentante di interessi alla Camera dei Deputati e membro della Commissione Trasporti dell’Ordine degli Avvocati di Roma.

Referente del Gruppo “Danno alla Persona” dell’Osservatorio Civile, oggi è considerato il massimo esperto in Italia per il risarcimento del danno biologico di non leve entità.

E’ autore del Manuale di infortunistica stradale “Le 50 parole del danno stradale più usate nelle Aule di Giustizia” pubblicato con la Nuova Editrice Universitaria.

Figlio d’arte, erede del più prestigioso Studio Legale di infortunistica stradale della Capitale, ha ottenuto risarcimenti con importi superiori a un milione di euro, senza andare in causa.

Lo Studio Legale Sposato, dal 1949, opera nel ramo della responsabilità civile per il risarcimento di danni da circolazione stradale con i migliori medici legali in tutta Italia.

 

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Danni da circolazione stradale

Danni da circolazione stradale

danni da circolazione stradale

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Risarcimento danni per incidente stradale

Lo Studio Legale Sposato, fondato nel 1959, è stato tra i primi in Italia ad occuparsi di danni da circolazione stradale ed infortunistica stradale per il risarcimento del danno alla persona derivante da un incidente stradale.

Siamo specializzati in incidenti stradali da cui derivino lesioni personali e conseguire il massimo risarcimento dei danni derivanti da circolazione stradale, grazie alla nostra esperienza e abilità, senza andare in causa.

Ci occupiamo risarcimento danni per lesioni personali, avvalendoci di medici legali Primari Ospedalieri e Professori Universitari per l’accertamento delle lesioni fisiche, con liquidazioni per i nostri assistiti superiori al 30% della media nazionale.

Qualora il danneggiato si trovi in difficoltà economiche anticipiamo tutte le spese legali richiedendo gli onorari ad espletamento dell’incarico, a garanzia della nostra onestà e professionalità, anche qualora sia necessario instaurare una causa.

La responsabilità civile automobilistica ed il Codice delle Assicurazioni Private

La responsabilità civile automobilistica riguarda un ambito vasto e complesso che richiede una specifica preparazione nel diritto delle assicurazioni, con particolare riferimento al Codice delle Assicurazioni Private che regola la materia.

L’obbligo dell’assicurazione per la responsabilità civile degli autoveicoli è stata istituita con la Legge 24 dicembre 1969 n.990.

L’art. 1 sanciva l’obbligo di copertura assicurativa per qualsiasi autoveicolo a motore posto in circolazione su tutto il territorio nazionale ai fini di garantire la responsabilità civile.

Il Codice delle Assicurazioni Private, è stato introdotto con il decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 e all’art. 122 ha mantenuto tale onere pressoché immutato.

L’assicurazione comprende la responsabilità per i danni alla persona causati anche ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto. 

La copertura assicurativa in caso di sinistro stradale rappresenta uno strumento di tutela per chi rimanga ferito negli incidenti stradali garantendo l’operatività della garanzia RCA, tenuto conto, però, che l’assicurazione non ha effetto nel caso di circolazione avvenuta contro la volontà del proprietario.

Risarcimento incidente stradale, le prime attività da compiere

La scelta dell’avvocato quando dalla circolazione stradale sono derivati danni fisici, con perdita della funzionalità motoria, fratture scomposte, perdita di organi vitali, o altro, è determinante per il risarcimento del danno.

La materia del risarcimento danni da circolazione stradale, infatti, è molto tecnica e l ‘Avvocato esperto in incidenti stradali deve avere una ferrata preparazione in responsabilità civile, diritto delle assicurazioni e risarcimento danni.

Inoltre, solo il curriculum e  l’esperienza di tanti anni di lavoro, casistiche affrontate e risolte, può garantire di possedere nozioni indispensabili, anche di cinematica stradale.

La ricostruzione dell’incidente è fondamentale per l’attribuzione della responsabilità, nonché primo compito dell’avvocato per fornire un quadro chiaro al danneggiato, tenuto conto che nello scontro tra veicoli si presume che tutti siano responsabili, ai sensi dell’articolo 2054 del codice civile.

Non sempre sono reperibili testimoni dell’incidente, per fare chiarezza sulla dinamica, mentre non è raro che le testimonianze, quando non rese a verbale, risultino in contrasto con il verbale redatto dalle Autorità intervenute per effettuare i rilievi stradali del sinistro.

Per questo solo un avvocato civilista con esperienza per incidente stradale risarcimento danni fisici sarà in grado di smontare una falsa testimonianza, inviando gli atti alla Procura della Repubblica, ristabilendo la verità e tutelando i diritti del danneggiato.

Lesioni derivanti da circolazione stradale, quantificazione del danno

Superato il problema della responsabilità dell’incidente e della copertura assicurativa, che rappresenta la prima fase del nostro lavoro, occorre determinare l’entità delle lesioni derivanti dal sinistro stradale, per una loro  corretta quantificazione.

Chi ha riportato lesioni personali a seguito di un incidente, infatti, ha diritto ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile al risarcimento del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale.

Nel caso in cui la responsabilità del sinistro sia conclamata non è più indispensabile lo stato di bisogno del danneggiato per avere diritto al pagamento di una una provvisionale dall’assicurazione.

L’assicurazione nel caso di incidente con feriti, comunque, è sempre tenuta a formulare una offerta risarcitoria al danneggiato all’esito degli accertamenti medico legali disposti.

Affidarsi da subito ad un Avvocato specializzato in risarcimento danni da circolazione stradale significa potere evitare una causa, nel caso in cui venga conclusa una trattativa vantaggiosa con l’assicurazione, senza rinunciare ad alcuna posta di danno, ottimizzando così tempi e spese.

Danni da circolazione stradale alla persona, l’importanza del risarcimento 

I danni da circolazione stradale alla persona comportano, di regola, lesioni fisiche invalidanti ed una invalidità permanente per chi subisce un incidente stradale, di qui l’importanza del risarcimento che deve tener conto di tutti gli aspetti, disagi, sofferenza e spese del danneggiato.

Le casistiche, purtroppo, in cui si riscontrano le lesioni più gravi riguardano gli incidenti  a pedoni, gli incidenti in  bicicletta, incidenti in moto e incidenti al passeggero.

In questo casi la degenza ospedaliera può essere molto lunga, come anche il completo ristabilimento del danneggiato dall’ incidente, per cui bisognerà attendere che le lesioni siano suscettibili di accertamento medico legale per la relativa valutazione del danno.

L’importanza di essere rappresentati ed assistiti da uno studio legale e da un professionista di spessore è determinate, per questo bisogna scegliere un avvocato civilista esperto in risarcimento del danno per lesioni personali derivanti da circolazione stradale.

La valutazione e liquidazione del danno derivante alla persona in un sinistro stradale, infatti, deriva da molteplici fattori e, solo affidandosi a mani sicure ed esperte, il danneggiato può avere la garanzia di essere assistito e tutelato al meglio per la piena affermazione dei propri diritti sul piano risarcitorio.

Il migliore avvocato per incidenti stradali

L’Avvocato Gianluca Sposato, è Presidente dell’Associazione Difesa Infortunati Stradali, che ha ottenuto il riconoscimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il fattivo contributo volto a tutelare i soggetti danneggiati da incidenti stradali.

E’ referente presso la Camera dei Deputati per la sicurezza stradale, con iniziative legislative volte a ridurre l’incidentalità e mortalità sulle strade ed ha partecipato ai lavori del nuovo codice della strada, con misure volte a tutelare gli utenti stradali.

Apprezzato relatore congressuale sulle tecniche di liquidazione del danno alla persona ed autore di numerose pubblicazioni, ha ottenuto condanne contro compagnie di assicurazione anche oltre il massimale di polizza assicurato. 

Assiste chi ha riportato gravi lesioni invalidanti per il risarcimento dei danni da circolazione stradale, sotto la duplice componente del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale e segue personalmente solo casi relativi a macro lesioni, su tutto il territorio nazionale.

 

 

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Diritto di Famiglia

Separazione giudiziale o consensuale con figli minorenni

Separazione giudiziale o consensuale con figli minorenni

La presenza di figli, in particolare di figli minorenni, all’interno di una famiglia i cui rapporti non sia possibile in alcun modo ricucire, rappresenta la maggiore preoccupazione per i genitori che intendono separarsi.

La preoccupazione di tutelare i minori è prevalente anche per il legislatore che, nel nostro ordinamento giuridico, garantisce piena tutela dei loro diritti.

Sta alla sensibilità, al grado di educazione e cultura dei genitori preservare un rapporto civile tra di loro per il bene dei figli minorenni, costretti a subire una decisione incomprensibile, a volte difficile da accettare.

Alla domanda come si può tutelare i figli affrontando la separazione coniugale? non può che rispondersi assumendosi le proprie responsabilità,  essendo il diritto un rimedio e mai la soluzione dei problemi.

Collocazione dei figli minorenni nella separazione

La collocazione della prole rappresenta il primo dei problemi quando si deve affrontare una separazione giudiziale, o consensuale con figli minorenni.

Quando i figli sono in età scolare la prassi, per non sconvolgere le loro abitudini di vita, è di consentire loro di continuare a vivere nella casa genitoriale con il coniuge assegnatario.

La collocazione della prole presso il padre, o la madre non incide, comunque, sulle modalità di affidamento condiviso.

L’affido condiviso viene di solito disposto per far sì che il minore mantenga un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, nel rispetto dell’articolo 337 ter comma 2 del codice civile.

Affido condiviso e collocazione prevalente del minore

Il figlio, in caso di accordo tra i genitori, sia in caso di separazione giudiziale che di separazione consensuale potrebbe non avere una collocazione prevalente, trascorrendo tempi analoghi con la mamma e il papà.

Pertanto, in caso di separazione giudiziale o consensuale con figli minorenni, i genitori si dovranno organizzare per assicurare al minore uno spazio abitativo adeguato alle sue esigenze.

Questa regola vale anche nel caso di affido condiviso, quando i figli vengono collocati in modo prevalente con il padre, o con la madre.

Se non c’è accordo tra i genitori, la scelta del collocamento nella separazione giudiziale dei figli minorenni, dovrà essere rimessa alla decisione del giudice.

In casi di particolare litigiosità può essere necessario per il magistrato richiedere l’audizione del minore per venire incontro alle sue preferenze. 

Anche in questo caso non esistono parametri codificati per la scelta della collocazione del figlio, tanto nella separazione giudiziale che in quella consensuale, se non quello della salvaguardia del suo esclusivo interesse morale e materiale.

Per tale ragione è fondamentale nella separazione, giudiziale, o consensuale, con figli minorenni tenere conto dell’età del bambino, del tipo di attività lavorativa dei genitori, dell’esistenza di un’abitazione che costituiscano un fattore stabile per il minore.

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Separazione giudiziale

Separazione giudiziale

Indice

La separazione giudiziale si rende necessaria quando non è stato possibile raggiungere un accordo tra i coniugi.

L’accordo è necessario sulle questioni relative alla regolamentazione dei rapporti tra di loro inerenti la sospensione del vincolo matrimoniale.

La causa viene promossa da uno dei coniugi nei confronti dell’altro mediante notifica di un ricorso, che può essere con addebito in presenza di determinati presupporti, come l’ infedeltà coniugale.

La causa per la separazione dei coniugi viene iscritta a ruolo davanti al giudice competente per territorio, che disciplina e regolamenta ogni aspetto inerente la gestione dei rapporti patrimoniali e personali tra i coniugi stessi.

Particolare attenzione è rivolta, nel nostro ordinamento giuridico, a tutelare le esigenze di figli minori, o non ancora economicamente indipendenti.

Per promuovere la causa di separazione dei coniugi davanti al giudice bisogna esperire la negoziazione assistita.

Quando i coniugi non sono d’accordo a presentare congiuntamente un ricorso per la separazione consensuale e intendono porre fine al vincolo coniugale, non resta altra strada che instaurare il giudizio di separazione legale.

Addebito della separazione

L’addebito della separazione comporta, quando è stata accertata la violazione dei doveri coniugali da parte del coniuge, che sia stata la causa della crisi coniugale, la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti successori.

L’addebito della separazione deve essere richiesto nel ricorso per la separazione giudiziale indicando il motivo, per cui si chiede, che il giudice si pronunci sul punto, accogliendolo.

Il coniuge che chiede l’addebito della separazione domanda, in sostanza, al giudice di accertare che la responsabilità della separazione è da attribuirsi a comportamento esclusivo dell’altro coniuge.

La causa dell’addebito è da ravvisarsi per violazione dei doveri coniugali, che hanno causato la rottura del matrimonio, come l’infedeltà coniugale.

Assegnazione della casa coniugale, affidamento condiviso e assegno di mantenimento

In presenza di contrasti tra i coniugi, ove si renda indispensabile istruire la causa attraverso l’acquisizione di documentazione, anche di carattere fiscale ed espletare prove testimoniali, il giudice potrà emettere una sentenza non definitiva.

Con la sentenza provvisoria il giudice provvede a regolamentare le esigenze primarie a tutela della famiglia:

  • l’assegnazione della casa coniugale
  • l’assegno di mantenimento 
  • l’affidamento dei figli
  • la regolamentazione del diritto di visita del coniuge non collocatario.

L’affido della prole può essere condiviso od in via esclusiva, ad uno soltanto dei coniugi.

A tal riguardo il giudice, a norma degli articoli 316 bis e 337 del codice civile, dispone che ciascun genitore sia obbligato, in misura proporzionale alle proprie capacità, al mantenimento dei figli.

Il mantenimento della prole deve tenere conto delle esigenze di vita e del contesto sociale e familiare in cui i figli sono cresciuti.

Per quanto concerne il mantenimento del coniuge, è dovuto quando uno degli sposi non abbia redditi propri che gli consentano di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

In tal caso il giudice stabilisce di versare al consorte cui non venga addebitata la separazione un assegno periodico, la cui entità deve essere determinata tenendo conto dei redditi del coniuge obbligato.

In caso di presenza di  figli minorenni il legislatore garantisce la piena tutela dei loro diritti, attribuendo al giudice il potere di adottare provvedimenti con esclusivo riferimento agli interessi materiali e morali della prole.

L’art. 337 ter del codice civile tutela i diritti dei figli minori, che hanno diritto a mantenere, anche dopo la separazione, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e con i relativi parenti.

Per l’avvio del procedimento servono specifici  documenti per la separazione giudiziale, da raccogliere da depositare con il ricorso.

Per questo è  fondamentale ricostruire con il proprio avvocato matrimonialista tutta la vicenda coniugale, al fine di supportare l’istruzione probatoria e poter confermare la fondatezza delle proprie ragioni.

Separazione giudiziale tempi

I tempi per la separazione giudiziale dipendono dalla complessità del caso, dal grado di litigiosità dei coniugi, dalle indagini da compiere e dall’entità delle prove da assumere in corso di giudizio davanti al giudice.

Mediamente la durata di una causa di separazione giudiziale è di 4 anni, dalla proposizione della domanda, tenuto conto che i provvedimenti urgenti possono essere adottati già alla prima udienza, con una sentenza provvisoria.

Questo non esclude che anche in corso di giudizio ed all’esito delle prove testimoniali e dell’istruttoria possa trovarsi un accordo tra le parti.

In tal caso è possibile chiedere al giudice il mutamento di rito da ordinario a volontaria giurisdizione e di emettere una sentenza su punti condivisi, non contrastanti tra i coniugi.

Separazione giudiziale costi

La durata incide anche sui costi della separazione giudiziale che tengono conto di tutte le spese da affrontare per le varie fasi del giudizio.

I costi variano a seconda della difficoltà dell’attività, delle indagini da svolgere ed ulteriori azioni da intraprendere, anche in sede cautelare, in relazione al valore della causa.

I costi dell’avvocato per la separazione giudiziale sono regolati dal DM55/14 e prevedono 4 voci di spesa per il cliente, in base al valore della pratica:

  • per la fase di studio
  • per l’introduzione del giudizio
  • per la fase di trattazione
  • per la fase decisionale

Una causa di separazione giudiziale costa mediamente tra i 8.000,00 e i 12.000,00 euro, quindi considerato che la causa dura circa 4 anni il costo di un avvocato matrimonialista è circa 2.000,00 euro all’anno.

Occorre, poi, rammentare che la sentenza di separazione giudiziale di primo grado non è definitiva.

La sentenza di primo grado può essere impugnata davanti alla Corte d’Appello territoriale, nei termini previsti dagli artt. 339 e 327 cpc, ovvero 30 giorni dalla notificazione, o 6 mesi dal deposito della sentenza.

L’appello contro la sentenza di separazione giudiziale del tribunale, ai sensi dell’art. 473 bis 30 del codice di procedura civile, si propone con un ricorso che deve contenere le indicazioni di cui all’atto di citazione di primo grado.

La litigiosità dei coniugi resta sempre il più grave problema da affrontare in ambito familiare con ripercussioni non solo sulla durata della causa di separazione giudiziale ma anche sull’equilibrio dei figli che ne vivono di riflesso gli effetti.

La separazione giudiziale dopo la riforma Cartabia

Con la riforma Cartabia sono state introdotte importanti novità al diritto di famiglia.

La prima e più importante è l’affermazione della piena uguaglianza tra i figli nati da coppie sposate e figli nati fuori dal matrimonio (more uxorio), sia che siano il frutto di una convivenza tra coppie di fatto, o meno.

Questa importante e naturale evoluzione del diritto di famiglia ha effetti pratici sulle modalità di svolgimento del processo civile, con le relative modalità di svolgimento.

Ecco le più importanti riforme introdotte dalla riforma Cartabia al diritto di famiglia:

Unica domanda di separazione e divorzio

È stato introdotto l’articolo 473 bis 49 al codice di procedura civile, che prevede la possibilità per il coniuge che intende avviare la separazione giudiziale di proporre unitamente il giudizio di separazione e di divorzio.

La norma permette di affrontare nella stessa causa sia la separazione che lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, con abbreviazione dei tempi e riduzione dei costi.

In tal modo è possibile ottenere il divorzio trascorsi 6 mesi in caso di separazione consensuale e 12 mesi in caso di separazione giudiziale.

Così, presentando un ricorso unico per separazione e divorzio il giudice, con la sentenza di separazione invita i coniugi a comunicare, entro 6 mesi o 12 mesi, la loro volontà a non riconciliarsi.

La comunicazione consente al  giudice di pronunciare anche il divorzio, senza che sia necessario istruire un’altra causa presentando nuovo ricorso.

Procedura di negoziazione assistita per separazione e divorzio

Con la riforma Cartabia la negoziazione assistita diventa obbligatoria in materia di separazione e il divorzio e deve essere sempre esperita prima di introdurre la causa ordinaria in tribunale.

La convenzione di negoziazione assistita per la separazione dei coniugi deve essere redatta in forma scritta dagli avvocati, che autenticano la firma autografa del cliente.

La negoziazione non può avere una durata inferiore ad un mese e superiore a 3 mesi ed impegna le parti a risolvere in buona fede e con lealtà la controversia.

Nel caso in cui venga raggiunto un accordo di separazione, la convenzione di negoziazione assistita è sottoposta al vaglio del Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente che, se non ravvisa, irregolarità comunica il nulla osta.

Ove via siano figli minorenni, incapaci, o portatori di handicap, la convenzione di negoziazione assistita va trasmessa entro10 giorni dall’accordo al Pubblico Ministero che autorizza, solo se è rispondente agli interessi dei figli.

La convenzione di negoziazione assistita munita del nulla osta è equiparata alla sentenza di separazione.

La convenzione deve essere trasmessa, a cura degli avvocati delle parti, entro 10 giorni all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio è stato iscritto.

Ciò ai fini della sua annotazione sull’atto di matrimonio, registrazione e trascrizione nei Registri di stato civile.

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Separazione consensuale

Separazione consensuale

La separazione consensuale rientra nei procedimenti di volontaria giurisdizione, e rappresenta la scelta migliore per i coniugi che vogliano porre fine al loro vincolo  coniugale, conservando un rapporto responsabile anche nei confronti della prole.

Una volta depositato il ricorso per separazione consensuale presso la cancelleria del Tribunale le parti dovranno comparire una sola volta davanti al  giudice che, dato atto della loro volontà, provvederà ad emettere la sentenza di separazione sulla base del loro accordo.

Obbligo di convivenza e abbandono del tetto coniugale

L’obbligo di convivenza, tuttavia, permane fino a quando non sia pronunciata la separazione dal giudice, a meno che non si dimostri che prima ancora di tale momento si era verificata la crisi della coppia e i coniugi non avevano più rapporti.

L’ abbandono del tetto coniugale e la violazione del dovere di coabitazione comporta, di regola, l’ addebito della separazione nei confronti di chi lascia la casa familiare, per violazione dei doveri di assistenza morale e materiale.

I coniugi, mediante l’accordo sottoscritto nel ricorso, possono regolamentare anche questioni accessorie – che il tribunale giudizialmente non potrebbe risolvere – come per esempio prevedere trasferimenti immobiliari, disciplinano ogni questione relativa alla sospensione del vincolo matrimoniale

  • di carattere patrimoniale, dovendo garantirsi il mantenimento del coniuge debole, 
  • di carattere personale come l’assegnazione della casa coniugale, il diritto di visita, l’affidamento, l’istruzione ed il mantenimento della prole.

Per l’avvio del procedimento servono specifici documenti per la separazione consensuale e per quanto il Decreto Legge 132/2014 la Legge 55/2015 abbiano introdotte importanti novità per semplificare le procedure è sempre opportuno  rivolgersi ad un avvocato matrimonialista.

Ove, successivamente alla sentenza di separazione, ricorrano i presupposti è sempre possibile chiedere la modifica delle condizioni di separazione promuovendo relativo giudizio motivando e documentando la richiesta.

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Modifica condizioni di separazione

Modifica condizioni di separazione

Quanto è possibile chiedere la modifica delle condizioni di separazione

Le condizioni della separazione possono essere modificate su richiesta della parte interessata qualora intervengano nuove circostanze di fatto e di diritto rispetto al momento in cui i provvedimenti sono stati assunti.

Ciò può avvenire, per esempio, nel caso in cui uno dei due coniugi abbia perso il lavoro, ovvero uno dei figli si sia reso economicamente indipendente.

Per comprendere cosa succede quando il coniuge non versa gli alimenti sotto il profilo giuridico, bisogna tenere conto della reale situazione di impossibilità ad adempiere e delle conseguenze civili e penali che ne conseguono.

La modifica della sentenza di separazione non riguarda solo le vicende economiche dei coniugi separati, ma può riguardare anche l’affidamento dei figli, il diritto di  visita ed altri aspetti non patrimoniali della sentenza di omologa.

Come si chiede la modifica delle condizioni di separazione?

La modifica della sentenza di separazione è frequentemente relativa alle vicende patrimoniali dei coniugi separati e può avvenire in via bonaria, o essere rimessa al giudizio del magistrato.

Le modalità procedurali auspicabili per addivenire alla modificazione delle condizioni di separazione più convenienti avvengono con il raggiungimento di un accordo stragiudiziale.

Se i coniugi non sono d’accordo, è possibile chiedere la modifica del provvedimento che regola i rapporti patrimoniali, o altri  aspetti della sentenza ritenuti non più  attuali, con la proposizione di un ricorso giudiziale congiunto.

In entrambi i casi, la decisione giudiziale, come disposto dal nuovo articolo 473 bis n 29 del codice di procedura civile che sostituisce dall’articolo 710 codice di procedura civile, è assunta a tutela dei minori. 

Il giudizio di modifica delle condizioni di separazione

La riforma Cartabia ha introdotto sostanziali modifiche al diritto di  famiglia anche per quanto concerne la revisione delle condizioni di separazione e divorzio, con l’introduzione del su citato articolo.

Condizione essenziale per potere ricorrere in giudizio per la modifica delle condizioni di separazione e divorzio sono giustificati motivi relativi alla sopravvenienza di nuove circostanze.

Il giudizio di modifica delle condizioni di separazione è sempre relativo a provvedimenti a tutela dei minori in materia di contributi economici.

Vi è pertanto l’obbligo per il ricorrente di specificare e documentare il mutamento  delle sue condizioni economiche tali da non consentirgli più di far fronte alle condizioni pregresse.

Ciò è possibile sia sotto il profilo della riduzione del reddito derivante dalla sua attività lavorativa, sia sotto il profilo dell’incremento delle spese sostenute a causa, per esempio, di una malattia degenerativa.

Il giudice, in ogni caso, è tenuto a sentire entrambe le parti, potendo disporre anche l’assunzione di mezzi di prova al fine di accertare le reali esigenze di cambiamento e al termine del giudizio, provvede con decreto avente la natura di sentenza.

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Divorzio

Divorzio

Il divorzio, introdotto dalla Legge 898/1970 successivamente modificata dalla Legge  74/1987, è l’istituto giuridico disciplinato dall’articolo 149 del codice civile mediante il quale, quando è venuta meno la comunione spirituale e materiale di vita, i coniugi possono richiedere lo scioglimento, o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seconda che sia stato contratto con rito civile, o celebrato con  rito concordatario.

Divorzio e separazione

La differenza rispetto alla separazione legale è sostanziale, poiché con la prima i coniugi non pongono fine definitivamente al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti potendo vivere separati,

Infatti, soltanto con il divorzio il vincolo coniugale cessa di esistere, venendo meno i diritti e gli obblighi, di cui agli articoli 51, 143 e 149 del codice civile, discendenti dal matrimonio.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 171 del codice civile termina la destinazione del fondo patrimoniale dei coniugi, mentre ai sensi dell’articolo 230 bis del codice civile cessa la partecipazione dell’ex coniuge all’impresa familiare.

Tuttavia, quando dal matrimonio sono nati dei figli, se il divorzio rappresenta la fine di una progettualità della coppia nell’ambito della vita familiare, certamente non può e non deve esserlo nell’interesse della prole.  

Divorzio congiunto, o contenzioso e assegno divorzile

Il divorzio può essere congiunto quando vi sia accordo tra i coniugi su tutte le condizioni relative allo scioglimento/cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, oppure contenzioso quando manchi tale accordo.

In sede di divorzio la legge prevede la possibilità per le parti di scegliere le modalità con cui assolvere all’obbligo patrimoniale che un ex coniuge ha nei confronti dell’altro.

Ciò avviene con l’assegno divorzile o, in alternativa, con un’attribuzione in un’unica soluzione che può risolversi o con la corresponsione di una somma di denaro – da non dichiararsi ai fini dell’irpef – o mediante il trasferimento di un bene immobile, o di altro diritto reale.

Nel caso di liquidazione “una tantum è, però, necessario l’accordo delle parti e l’accertamento del tribunale sulla congruità della somma offerta.

Occorre tenere presente, inoltre, le problematiche legate all’assegnazione della casa coniugale ed è importante che i coniugi valutino e si pongano la domanda: casa coniugale: quando è possibile  o conviene venderla?

Questo, in particolare, qualora le spese divengano insostenibili e si corra il rischio di un pignoramento immobiliare sulla casa coniugale per mancato versamento dei canoni di mutuo.

Infine bisogna tenere conto  che ogni disposizione della sentenza di divorzio concernente l’affidamento dei figli e le questioni economiche può essere modificata, o revocata, dal Tribunale.

Ciò può avvenire su istanza di uno dei coniugi divorziati, qualora intervengano nuove circostanze di fatto e di diritto rispetto al momento in cui i provvedimenti sono stati assunti.

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Documenti necessari per il divorzio congiunto e giudiziale

Documenti necessari per il divorzio congiunto e giudiziale

Quali sono i documenti per il divorzio?

Documenti necessari per il divorzio congiunto e giudiziale: al ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio devono essere allegati i seguenti documenti:

  1. copia autentica della separazione, verbale + omologa (se consensuale), oppure  sentenza con attestazione passaggio in giudicato;
  2.  estratto per riassunto dell’atto di matrimonio rilasciato dal comune dove è stato celebrato;
  3. certificato di residenza di entrambi i coniugi;
  4. certificato di stato di famiglia di entrambi i coniugi.

Documenti per il divorzio giudiziale

Il divorzio giudiziale, presenta maggiori difficoltà rispetto al divorzio consensuale, con costi e tempi più lunghi, dovuti all’attività da espletare nella fase istruttoria e di trattazione della causa civile.

Pertanto, oltre ai documenti elencati nel paragrafo che precede, il ricorrente che intende chiedere lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio dovrà produrre:

  1. copia per controparte della documentazione prodotta;
  2. dichiarazione dei redditi, o dichiarazione sostitutiva in circoscrizione, relativa agli ultimi 3 anni.      

 

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Documenti necessari per la separazione giudiziale

Documenti necessari per la separazione giudiziale

Al  ricorso per la separazione giudiziale devono  essere allegati i  seguenti  documenti:

1-estratto per riassunto dell’atto di matrimonio rilasciato dal comune dove è stato celebrato (o in mancanza un semplice certificato di matrimonio sempre del luogo ove è stato celebrato il matrimonio con riserva di produrre l’estratto in prima udienza);

2-certificato di residenza di entrambi i coniugi;

3-certificato di stato di famiglia di entrambi i coniugi;

4-dichiarazione dei redditi (o dichiarazione sostitutiva in circoscrizione) relativa agli ultimi 3 anni;

5-copia per controparte della documentazione prodotta (esclusi i certificati anagrafici).